Associazione Jambo

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Destinazione Chiapas

 

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Considerazioni sul Chiapas 2009

“ Nei nostri sogni abbiamo visto un altro mondo, un mondo vero, un mondo definitivamente più giusto di quello in cui viviamo ora. Abbiamo visto che in questo mondo non servivano gli eserciti, che la pace, la giustizia, la libertà erano così comuni che non se ne parlava come di cose lontane, ma come si dice ‘pane’, ‘uccello’, ‘aria’, ‘acqua’, come si dice ‘libro’ e ‘voce’: così erano nominate le cose buone in questo mondo. E lì ragione e volontà erano il governo della maggioranza, e quelli che comandavano, gente dal retto pensiero; comandavano obbedendo. E questo mondo vero non era un sogno del passato, non era qualcosa che veniva dai nostri antenati. Veniva dal futuro, apparteneva al nostro passo successivo. È stato così che ci siamo messi in cammino per raggiungere questo sogno, per fare in modo che si sedesse alla nostra tavola, illuminasse la nostra casa, crescesse nelle nostre milpas, riempisse il cuore dei nostri figli, asciugasse il nostro sudore, sanasse la nostra storia e fosse per tutti. Questo è ciò che vogliamo, niente di più ma neanche niente di meno.”
(Sup Marcos -marzo 1994)

“Ya se mira el horizonte” dice la prima strofa dell’inno zapatista. Quell’orizzonte non è irraggiungibile, né un’idea astratta: le comunità zapatiste l’hanno trasformato in un fatto reale e l’hanno “compartido” con noi.
Con le donne, gli uomini, i bambini degni e ribelli, abbiamo parlato, giocato, cantato, cucinato, abbiamo condiviso le stesse speranze, le stesse idee, la stessa rabbia, abbiamo pianto e abbiamo riso: in una parola ci siamo sentiti fratelli e sorelle, compagni e compagne.

 

Il Viaggio

Desmi
Appena giunti a San Cristobal, andiamo tutti quanti ad incontrare Cinzia, Estela, Pedro, Pepe, Asela, Faustino, e tutti i companer@s di Desmi che ci hanno aiutato ad organizzare il viaggio. Desmi è una Ong che si occupa dello sviluppo economico e sociale delle comunità indigene, ed è anche il punto di riferimento per la realizzazione dei nostri microprogetti.
Su una grande lavagna, Cinzia, la responsabile della Ong, scrive il programma del nostro viaggio, che appare davvero interessante. Conosciamo anche Consuelo, una studentessa fiorentina che sta facendo uno stage a Desmi per Tatawelo, e che starà con noi per quasi tutto il viaggio.

Ad Amatenango da Paty e Carlito
I primi giorni del nostro viaggio li trascorriamo con don Carlo e Paty. Siamo vecchi amici ed insieme portiamo avanti due piccoli progetti, ma per noi molto importanti: uno dedicato alla salute, l’altro rivolto al rispetto dei diritti umani.
Assistiamo a parte del corso per animatori, rappresentanti delle comunità che vengono qua una volta al mese, , che inizia con una preghiera ed un’offerta simbolica di fiori, mais, acqua e candele, secondo la tradizione maya.
Ascoltiamo per la prima volta le parole lotta, autonomia e resistenza, che segneranno quasi tutto il nostro viaggio, e soprattutto iniziamo a capirne il significato, perché qua solo la teoria serve a poco, occorre parlare, insegnare e mettere in pratica.
Studiano per utilizzare metodi di coltivazione organici, e si battono contro la coltura di mais transgenico e l’utilizzo di pesticidi che sono invece incentivati dal governo, il quale offre anche un appoggio economico ai contadini.
Ci spiegano che bisogna rispettare ed amare Madre Tierra, mentre invece stiamo assassinando la natura e avvelenando noi stessi, così come da più di mille anni i maya avevano profetizzato. Il Chiapas da solo produce più del 50% di energia elettrica di tutto il Messico, ma mentre il governo agevola solo i ricchi e le industrie, i poveri, gli indigeni e i contadini sono costretti a pagare grosse cifre per la luce: per questo in ogni comunità stanno istruendo due o tre tecnici che si occuperanno di portare la luce in ogni casa, naturalmente senza pagare la bolletta!
Ci dicono che la vera educazione è conoscere il proprio popolo, la propria cultura e le tradizioni.
Seguono per questo percorsi di autonomia, per avere sempre meno a che fare con il governo, e mantenere il “cuore libero”.

Segue poi l’incontro coi promotores de los derechos humanos. Non ci sono tutti: molti di loro, infatti, partecipano al “ bloqueo” promosso dagli aderenti de “la otra campaña”, che consiste nel bloccare la strada che conduce a San Cristobal in segno di protesta per la nuova autostrada che collegherà San Cristobal a Palenque, e per la cui costruzione sono state espropriate delle terre a molte famiglie indigene, senza prima essere state avvisate. La protesta è allargata anche al falso conflitto religioso con cui il malgoverno vuole mascherare la presenza di bande paramilitari, il cui compito è quello di dividere le comunità zapatiste.
I promotores presenti ci parlano delle loro esperienza che dura ormai da 3 anni. Con l’aiuto di Paty e della “carpeta basica”, un testo semplice prodotto dal Frayba (Centro dei Diritti Umani), si stanno riappropriando dei propri diritti fondamentali: hanno imparato a fare denunce, a raccogliere le prove di una ingiustizia, a mobilitarsi insieme, a reclamare la libertà per i loro compagni prigionieri di coscienza... in una parola a ribellarsi all’ingiustizia e a far sentire la voce degli oppressi. I promotores sono 20, provenienti da altrettante comunità, il loro compito è apprendere, riportare nelle loro rispettive comunità ciò che imparano, e agire qualora si verifichi una violazione.
Le loro parole ci riempiono il cuore di entusiasmo: la loro lotta per difendere la terra, per ottenere giustizia, contro la discriminazione di genere, contro la piaga dell’alcoolismo, li sta rendendo più forti e sicuri, ed insegna anche a noi che, in qualsiasi parte del mondo viviamo, i diritti sono universali ed indivisibili, e dobbiamo batterci per il loro rispetto a Fidenza come ad Amatenango.

Cideci - “ Siamo quello che facciamo”
Il giorno seguente andiamo a visitare il Cideci, l’università de la tierra. Ci accompagna Carlito, grande amico del dott. Raimundo, ideatore ed anima di questo progetto affascinante. Questa università, libera e indipendente dal governo, e’ formata da indigeni e da questi frequentata. E’ costituita da diverse officine e laboratori: qui si apprende e si scambia ciò che e’ il sapere indigeno. Ci sono laboratori per carpentieri, falegnami, muratori, sarti, artigiani, barbieri, conciatori, contadini, ecc. E’ una realtà autosufficiente, per non dipendere in nessun modo dal governo si sono attrezzati con generatori, pannelli solari, pozzi per l’acqua.
Si occupa inoltre di consulenza, elaborazione e valutazione di microprogetti comunitari di sviluppo integrato sostenibile. Il Cideci è quindi un centro regionale di ecosviluppo, che offre servizi gratuiti di educazione non formale, organizzazione e formazione di gruppi suburbani e contadini indigeni (uomini e donne), principalmente delle etnie Tzootzil, Tzeltal. Chol, e Tojolabal.
Tutto avviene in un clima armonioso e rispettoso, in ambienti spaziosi, puliti pieni di colore dove regna sempre la musica classica.
Le nazioni non hanno il monopolio della cultura, che invece ha le proprie radici nella cultura indigena , per questo non importa avere una laurea per essere colti, ma piuttosto avere sapienza e saggezza, che si apprendono vivendo la “vida buena”, come ci dice Raimundo. Un suo collaboratore ci accompagna poi a visitare i vari talleres e lo spazio dedicato alle colture e all’allevamento.

Torniamo ad Amatenango nel tardo pomeriggio, in tempo per cucinare gli spaghetti al sugo, per curare con le goccine magiche di Paty Chiara e Megghie che hanno mal di stomaco, e per vedere Davide ed Elisa iniziare a fare incetta di animalitos (ceramiche a forma di animali realizzate con l’antico procedimento maya).
Dopo questa giornata esaltante, ci dividiamo in due gruppi per andare in due comunità distinte della estesa parrocchia di Carlito: Marco, Claudia, Davide, Elisa e Megghie vanno a la Providencia, tutti gli altri a San Francisco.

I cinque della Provvidenza…
Si parte alle nove di mattina, con tutti che chiedono chi sono i cinque della Provvidenza, e noi ci sentiamo un po’ come se dovessimo andare in missione.
Ci accompagna Carlito, e ci spiega che Providencia è una piccola comunità molto povera, ha iniziato il lavoro con lui da appena 6 mesi e sta cominciando quindi da poco ad organizzarsi, non hanno mai ricevuto nessuna visita dall’esterno. Lungo la strada si rompe pure la macchina, per cui ci facciamo dare un passaggio (a pagamento..) da un abitante di Betania, il paese piu’ vicino, che ci porta fin dove finisce la strada; prendiamo con lui accordi per il regresso del giorno successivo, molto dubbiosi sulla chiarezza del nostro spagnolo e sulla sua disponibilità, che in messico fanno un po cosi’, ti dicono che hanno capito ma poi spesso non è mica tanto vero! Poi Carlito deve scappare via subito perché ha un battesimo, così ci molla lì da soli, lui continua il suo viaggio e noi continuiamo a piedi con l’animador e altri che ci sono venuti a prendere.
Arriviamo dopo una ventina di minuti di cammino nel centro della comunità: quattro casette, fatte di assi di legno col tetto in lamiera, al centro un cortile con un tavolo; verifichiamo subito che grandi bidoni raccolgono l’acqua piovana di un irresistibile colore verdino (non hanno acqua corrente) ma che ogni casa ha il suo pannello fotovoltaico con batteria di accumulo…..che è grande come quella di un cellulare!
Ci rendiamo subito conto che dobbiamo apparire molto ma molto strani, ci squadrano tutti come fossimo marziani…forse è colpa degli zaini colorati e degli scarponi…forse perché le ragazze del nostro gruppo sono vestite da uomini, si comportano da uomini, salutano e parlano con tutti, o forse che siamo strani e basta.
L’animador ci fa accomodare nella costruzione adibita a cappella, nella quale ci segue tutta la popolazione maschile, dopodiché sparisce. Ci ritroviamo così tutti seduti in silenzio sulle panche per dieci minuti buoni ad aspettare che ritorni, in un silenzio alquanto imbarazzante. Ma anche quando torna, la situazione non migliora di tanto: dopo i primi dieci minuti di convenevoli, non sappiamo più cosa dire, e lui, che in teoria dovrebbe essere “animatore” della conversazione, è forse più in imbarazzo di noi. Del resto è molto giovane, avrà una ventina d’anni, ed è la sua prima esperienza con degli stranieri.
Usciamo nel cortile dove ci offrono caffè e pan dulce: gli uomini sempre in piedi che continuano a guardarci in silenzio, mentre scopriamo che tutte le donne e le bambine (saranno almeno in trenta!) sono chiuse nella capanna-cucina. E non hanno nessuna intenzione di uscire: sono curiose ma spaventate, per tutto il tempo ci sbirciano dalla porta ma appena le guardiamo scappano dentro. Proviamo comunque ad entrare per ringraziarle del caffè, e le troviamo indaffarate a cucinare centinaia di tortillas, immerse in una cortina irrespirabile di fumo che viene dal “fogòn”, il grande forno a legna al centro della stanza sopra al quale cucinano le tortillas e fanno bollire l’acqua. Resistiamo davvero poco lì dentro, e ci chiediamo come facciano loro a stare lì tutto il giorno a respirare fumo.
Scopro poi che questa è una costante nelle comunità indigene, che causa non pochi problemi respiratori soprattutto alle donne: Carlito e Pati mi spiegheranno poi che stanno organizzando dei laboratori per insegnare a costruire le canne fumarie nelle cucine.
Ancora una volta ci ritroviamo lì fuori in piedi, non sappiamo bene se dobbiamo fare o dire qualcosa: fortuna che c’è Marco che fa tante domande! e piano piano anche gli uomini iniziano a prendere coraggio e parlare con lui. E’ un peccato che nessun altro di noi sappia parlare spagnolo, ci limitiamo a guardarli e sorridere….
Chiediamo di fare un giro: ci mostrano orgogliosi i loro campi di mais, campi che hanno strappato ad un terreno pieno di pietre, e la scuola, un edificio in muratura che mi sembra ben organizzato, con dei libri di testo veramente interessanti che parlano di rispetto per natura e ambiente, di inquinamento…mi chiedo se ai bambini italiani, oltre che insegnarli a pestare sulle tastiere dei computer, parlino anche di queste cose…
Sono le due e mezza, è l’ora del pranzo!!
Hanno preparato una esagerazione di cibo (e anche questa scopriremo nei prossimi giorni essere una costante delle comunità che ci ospitano): spaghetti col sugo rosso, che troviamo buonissimi e chiediamo addirittura la ricetta… e poi brodo con carne e verdure e tortillas.
Dopo pranzo tentiamo i primi approcci con i bambini, che continuano a spiarci da dietro le assi di legno, e a scappare appena li chiamiamo: è veramente faticoso, ma dopo tanto riusciamo a farli giocare con una pallina (che conquista!).
Poi Marco e la Megghie si esibiscono nella “prima” del loro spettacolo di magia!! Io sono entusiasta, continuo a ridere e a battere le mani!!
I bambini sono un po’ perplessi, ma comunque si divertono.
Per coinvolgere tutti organizziamo un po’ di giochi: ci portano in un campo dove c’è uno spiazzo piano al fianco di una scarpata, e gli insegniamo a giocare a bandiera, a 1-2-3 stella!…gran successo e grasse risate!! E fortunatamente nessuno di noi finisce nella scarpata…..
Ci viene da ridere quando vediamo che i bambini, ma anche i ragazzi più grandi, mentre corrono e si divertono, continuano a tenere stretta in mano come un oggetto prezioso la bacchetta magica che hanno ricevuto in regalo dopo lo spettacolo di magia!
Ma la più grande soddisfazione è stata quella di riuscire finalmente a fare uscire donne e bambine dalla cucina! Non mi sembra vero di vederle tutte sedute sul prato, sono bellissime. Addirittura riusciamo a coinvolgerne una e due bimbe nei nostri giochi!
Proviamo a chiedere ai bambini di insegnarci qualche gioco che conoscono, ma la risposta ci sbaloridsce: non ne conoscono! Allora, anche se un po' affaticati, non resistiamo alla tentazione di proporre un ultimo “nascondino” e così ci capita anche di andare a scovare i ragazzini nascosti sulla cima degli alberi.
Torniamo verso sera un po’ stremati alle baracche, e verso le sette ci offrono ancora cafè e pan dulce (la cena). Ci voleva.
Ci si guarda ancora un po’ in faccia, poi verso le nove iniziamo ad andare a dormire che fa buio, piuttosto freddo e le nuvole coprono il cielo che dovrebbe essere meraviglioso! Ci svegliamo piu’ o meno tutti verso le 23.00 pensando che sia già mattina, ma ci rendiamo conto che la notte sarà lunga….
Ci svegliamo verso le cinque, senza fatica, con una musica diffusa: oggi è festa!
L’aria stamattina è pulita, le nuvole basse di ieri nascondevano un panorama mozzafiato…siamo a quasi duemila metri, sulla cima di una montagna, intorno verde a non finire, rocce dalle forme strane, alberi altissimi, e lontano si vedono dei paesi…Amatenango...Teopisca…
Ci offrono caffè e pan dulce, poi incredibilmente un’altra grande conquista per noi: ci invitano a consumare la colazione dentro alla cucina con le donne! Che sono già super indaffarate a macinare del mais per le tortillas (ma quante ne fanno..?) Cerchiamo di resistere il più possibile, anche se il fumo ci fa tossire e lacrimare.
E’ domenica: non viene celebrata la Messa, ma fanno comunque una funzione guidata dall’animador, che tra l’altro anticipano di un’ora in modo che anche noi riusciamo ad assistere. Per alcuni di noi e’ davvero stano partecipare ad una funzione religiosa, ma ci sembra il posto e il momento adatto per partecipare……
Fanno qualche lettura, dei canti, poi tutti dicono qualcosa. E giù lacrimoni che qua ci si commuove, continuano a ringraziarci di essere venuti a visitarli, e che è la prima volta che vedono qualcuno, e di avere portato loro dell’allegria. Le loro parole sono molto semplici, ma si sente che vengono dal cuore.
Noi ringraziamo per l’ospitalità, per averci accolto. Vorrei dire tante altre cose, ma sono troppo emozionata. E’ difficile spiegare quanto ci abbia colpito questa esperienza, l’aver vissuto due giorni con persone che neanche sforzandomi riuscivo ad immaginare come potessero vivere, dove abitavano, dove lavoravano, cosa mangiavano. E quanto impegno e determinazione potessero avere per iniziare questo percorso di organizzazione e collaborazione.
Finita la funzione, prima di partire, la colazione (ma non l’avevamo già fatta?): pasta con frittata e fagioli. E tortillas.
Dobbiamo tornare ad Amatenango: ci accompagnano in tanti per il pezzo di strada a piedi, poi tutti insieme aspettiamo l’autista che dovrebbe venire a prenderci, in realtà un po’ sfiduciati e già pronti ad un lungo cammino a piedi sotto il sole battente; ma in messico impareremo che è così, spesso sembra che nessuno capisce bene le cose, poi invece si sistema tutto e non ti devi preoccupare che una soluzione si trova……

… e gli otto di San Francisco
Arriviamo a san Francisco nel tardo pomeriggio, ci aspetta il catechista Pablo, che ci fa conoscere i problemi e le persone della comunità.
Dopo aver giocato coi tanti bambini presenti al catechismo, incontriamo i promotores. San Francisco è un villaggio povero, di circa 300 persone, è parte di un latifondo; il padrone, fino a qualche decennio fa, considerava gli indigeni come schiavi, dovevano lavorare per lui 3 giorni a settimana, nei rimanenti dovevano lavorare per sé al fine di sopravvivere. Alla morte del padrone le terre furono vendute a una signora, che da 3 anni è irreperibile. La terra di S. Francisco non è fertile, è piena di sassi, abbarbicata sui monti, ma la comunità vorrebbe averla per sé, coltivarla in maniera comunitaria e spartire fra tutte le famiglie gli eventuali utili. Nelle comunità zapatiste e filo-zapatiste non esiste il concetto di proprietà privata, è la comunità che lavora insieme, insieme decide, insieme progetta ed esegue ciò che tutti ritengono utile ed importante . Anche questo è un altro insegnamento di cui facciamo tesoro.
Ormai è sera , Pablo ci porta a casa sua : pavimento di terra battuta, pareti di legno, tetto di lamiera, il focolare al centro della cucina; qui a san Francisco, ma anche in tutti gli altri villaggi dove andremo, si vive così, non siamo ancora abituati al fumo che si sprigiona, alle galline che razzolano sotto il tavolo.. ma non importa.. quello che ci rimane nel cuore è la grande dignità, la forza, il coraggio di queste persone, materialmente povere, ma nello stesso tempo ricchissime.
La mattina seguente, dopo un’ottima frittata con chayotes, caffè e pan dulce, Pablo ci porta fino alla casa, ormai abbandonata, del latifondista, poi ad incontrare la cooperativa di donne che fanno il pane e quella delle donne che fanno rimedi naturali per curare le più comuni malattie. Ormai è tempo di riprendere i nostri zaini, ringraziare la comunità e ritornare ad Amatenango, dove ci aspetta Ivan, appena arrivato dall’Italia.
La salute è uno dei problemi più pressanti per gli indigeni. Tutto si paga, dalla degenza all’ospedale, alle medicine, al consulto del medico o dello specialista. Chi ha soldi può curarsi, chi non li ha può morire anche di malattie curabili, come la diarrea, l’influenza, la polmonite. Altissima è la mortalità infantile (25,1 ogni 1000 nati vivi, il tasso nazionale invece è di 18,6) , la speranza di vita è di 68 anni per gli uomini e 75 per le donne e il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Questi dati riguardano essenzialmente la popolazione indigena, più discriminata, più emarginata e più numerosa in Chiapas.
Con Carlo e Paty abbiamo istituito, per tutti questi motivi, un fondo di salute per fare in modo che le persone più povere possano essere curate.
Paty ci ha consegnato un resoconto delle spese mediche sostenute e noi le abbiamo confermato che questo progetto continuerà.
Ci congediamo con grande tristezza da Carlito, da Paty, da Bartolomè per ritornare a San Cristobal e prepararci per trascorrere una settimana nelle comunità zapatiste del norte insieme a Desmi.

Prima, però, occorre andare al caracol di Oventic, dove ci consegneranno la “constancia”, cioè il permesso scritto per andare nelle comunità di Nueva Esperanza, Jolya, El Calvario. (...continua!!)

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ultimo aggiornamento: 8-Dic-2010