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MESSICO 2006: SITUAZIONE POLITICA E RIBELLIONE POPOLARE NELLO STATO DI OAXACA
di Alieta Melchioni

Sono moltissime le variabili da valutare per capire cosa sta succedendo in Messico: diversi luoghi sono teatro di repressione su incarico dela classe politica e dirigenziale, che ha il controlo quasi totale dei media e tramite questi modela la realtà apparente, mentre le cause profonde vanno cercate in luoghi vicini e lontani, nela storia dela gente e nei disegni occulti di chi si pone al di sopra dela gente.
Nel 2006 assistiamo al'ennesima controversa elezione presidenziale. La lunga storia di frodi eletorali in questo paese non depone a favore di Felipe Calderon, candidato del PAN (Partito d'Azione Nazionale) e attualmente presidente del Messico, il cui partito al'elezione precedente ha sì scalzato dalla poltrona il PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale) dopo un'egemonia di 70 anni, ma più che altro per ereditarne nomignoli tipo "el mal gobierno" e portare avanti una lunga tradizione di connivenze con élite dirigenziale nazionale ed investitori internazionali. Il candidato Andres Manuel Lopez Obrador del PRD, partito di sinistra, sembra favorito, ma dopo un'iniziale (e presunta) incertezza sullo scarto dei voti, annunciati come quasi pari, viene proclamata la vittoria di Calderon. La gestione di questa situazione da parte del governo uscente è evidentemente sospetta, né si trayta del primo presidente proclamato dai media piuttosto che dalla gente (Bush docet). La reazione è un enorme picchetto popolare che ha impegnato lo Zocalo, piazza centrale e cuore di Città del Messico, e alcune arterie principali per un mese e mezzo, una incredibile protesta fiume che reclamava Lopez Obrador come nuovo presidente della repubblica.
Nelo stesso periodo lo stato di Oaxaca, sula costa pacifica meridionale, vive le conseguenze di quella che viene additata senza grossi dubbi come un'altra frode elettorale. Secondo stato più ricco di risorse e più povero di denari (il primato in entrambi i casi spetta al Chiapas), Oaxaca vede ora in carica il governatore Ulises Ruiz Ortiz, esponente del PRI. Pare che durante le elezioni che lo hanno portato al potere nel 2004 si sia verificato uno strano black out, che lo ha visto rimontare il candidato del PRD, in testa prima che mancasse la corrente. D'altro canto, se Ulises Ruiz non avesse niente da nascondere e interessi "altri" da difendere sarebbe difficile capire perché, fin dall'inizio del suo mandato, chi non è d'accordo con la sua "mano dura" viene alternativamente ignorato, incarcerato o assassinato dai suoi scagnozzi, nutrendo un clima di crescente indignazione. Nei primi 15 mesi della sua amministrazione vengono commessi 29 assassini politici.
Come spesso accade, è necessaria una scintilla per innescare una più grande reazione che cova da tempo. Questo ruolo è toccato alla questione dei maestri che manifestavano per un aumento salariale. E' importante sottolineare che i maestri sono figure fondamentali sia per i piccoli paesi che per la città, portatori di cultura, in lotta per la loro gente, con stipendi che tendono ad esaurirsi per pagare il viaggio da casa al posto di lavoro. Li riunisce la Secciòn XXI dell'SNTE, uno dei sindacati più importanti del Messico, che nel maggio scorso, all'ennesima tracotante violazione dele promesse di aumento salariale, interrompe le lezioni e organizza un picchetto permanente nello Zocalo di Oaxaca assieme ad altre realtà della società civile.
Ulises Ruiz preferisce non ascoltare le proteste e fa invece sgomberare il picchetto a forza, all'alba del 14 giugno, mentre i maestri dormono. Gli oaxaqueni vedono chi educa i loro figli picchiato selvaggiamente a causa di "assurde" richieste, come quella di poter vivere dignitosamente del proprio lavoro e avere scuole servibili per gli studenti. La lunga storia di lotta di questo stato e la profonda indignazione hanno fatto sì che la gente scendesse in strada per difendere ed appoggiare i maestri, fino ad unirsi a loro in una nuova, univoca richiesta: che Ulises Ruiz se ne andasse.
Qui comincia la storia di un movimento popolare, la APPO, ispirato alle antiche forme di governo assembleare, che recentemente lo stato di Oaxaca ha dovuto legalizzare in molte comunità a maggioranza indigena, dove da sempre sono consuetudine. Gli abitanti di Oaxaca riprendono possesso della città, occupano i palazzi del potere, organizzano il movimento attraverso una radio libera e, quando questa viene ripetutamente sabotata, un corteo di donne occupa la rete statale in segno di protesta. Questa stessa rete sarà a sua volta sabotata e poi rimpiazzata atraverso l'occupazione a furor di popolo delle radio private. Per le strade il popolo impara a conoscere se stesso, nel vero senso della parola, vivendo e lottando fianco a fianco: vengono organizzate attività comunitarie, nascono cucine popolari che sostengono il movimento, si scrivono canzoni di lotta. Le persone si guardano in faccia e conoscono per la prima volta il loro vicino, si sentono parte di qualcosa, diventano solidali. La APPO è l'assemblea dove tutti si riuniscono per capire come cambiare la situazione del paese e la diversità diventa una forza: sono rappresentanti sindacati, contadini, studenti, gruppi di donne, gente comune che si organizza nei quartieri, indigeni dela città e di paesi sperduti, e le decisioni vengono prese all'unanimità. Pian piano maturerà l'idea di una nuova forma di governo, di una nuova Costituzione.
Intanto la repressione continua, con estrema violenza. Si susseguono le "mega marce", colorate sfilate in cui viene urlato il dissenso verso il governatore, e FUERA URO DE OAXACA è su ogni muro oltre che su ogni bocca. Ma URO (Ulises Ruiz Ortiz), da parte sua, non ci pensa neanche ad andarsene, esige anzi che venga ristabilita la legalità al più presto, possibilmente facendo intervenire la terribile PFP (Polizia Federale Preventiva), un corpo speciale che più che prevenire rade al suolo. Nel'attesa aumentano gli incarceramenti sommari, i pestaggi ed i morti. Ogni sera vengono approntate barricate con gli oggetti più disparati, nella speranza di fermare i raid della morte, che quando non hanno un obbiettivo preciso sparano a caso, per convincere la gente che questo movimento non fa per loro. Così il 27 ottobre viene ucciso anche Brad Wil, operatore di Indymedia, americano. Ci sono foto che documentano gli assassini nel'atto di sparare e questi uomini verranno riconosciuti come rappresentanti dela municipalità di un paesino conosciuto come roccaforte prista. Eppure proprio questa morte diventa una scusa perfeta, perché è il movimento a venire accusato dell'assassinio e si conviene che c'è un unico modo per proteggere gli onesti cittadini: permettere che la PFP ponga l'assedio, subito. La PFP entra a Oaxaca per difendere la gente di Oaxaca. Eppure la gente di Oaxaca fa scudo umano contro la PFP. Vengono documentate scene di incredibile impatto emotivo, che il grande pubblico non vedrà in TV: donne e uomini oaxaqueni che, a mani nude, pregano soldati in tenuta antisommossa di non entrare nela città, chiedono se anche i loro figli non sono poveri e privati di un istruzione, urlano il loro dolore e la loro indignazione davanti ad altri uomini. Che, evidentemente, non li stanno ad ascoltare, visto che gli scontri con la PFP saranno durissimi. Oaxaca tenta di resistere, ma il 25 novembre l'ennesima retata fa sparire una quantità enorme di persone in carceri lontane e la violenza raggiunge apici insopportabili, lasciando il movimento sempre più attonito. Mille fratture, ripensamenti, tradimenti, ne aiuteranno il processo di frammentazione.
La città viene sgomberata e tenuta forzatamente in uno stato di finta quiete. Ripristinata la "legalità", pian piano si ricrea una vita quotidiana presidiata dalla PFP che, sgomberato definitivamente il picchetto, in dicembre pianta letteralmente le tende nello Zocalo. In gennaio la gente sparisce ancora e molti attivisti si vedono costretti a non fare ritorno alle proprie case per non rischiare l'incarcerazione. Alcuni insegnanti vengono rastrellati dalle scuole, mentre vanno a fare lezione. I familiari dei detenuti organizzano picchetti davanti al carcere e vengono assaliti con la solita violenza. Resiste la APPM, Assemblea Popolare dei Popoli del Messico, nata il 17 novembre da rappresentanti di 20 dei 32 stati della federazione Messicana, una versione ampliata della APPO, che la integra e sostiene.
Un comunicato della APPO datato 5 gennaio 2007 riporta i seguenti dati: fra giugno e ottobre 2006 si contano 18 morti; a partire da novembre 2006 altri 24, tutti assassinati durante l'occupazione dela PFP; i "desaparecidos" sono più di 100; i detenuti con accuse inventate o quantomeno fantasiose più di 230; fra torture varie (compresi gli stupri) possiamo contare 150 vittime.
Questa è una piccola parte dei fatti di Oaxaca, ma manca ancora la metà oscura, quella che spesso muove le sorti della piccola gente senza che questa possa rendersene conto. Perché tutto questo sangue, l'esercito, le incarcerazioni, le vessazioni a carattere sessuale, una violenza sistematica e dal'impatto così forte da inebetire? Nel 1993 il governo decide di rendere alienabili le terre che la Rivoluzione del 1910-17 aveva reso alla gente, assicurandone la permanenza presso la classe popolare tramite eredità. Il 1° gennaio 1994, in Chiapas, dove la Rivoluzione non è mai arrivata, un folto gruppo di indigeni si ribella dopo 500 anni di schiavitù, riappropriandosi di territori dove comincerà ad autogovernarsi. L'esercito non se l'aspettava o chissà, magari lo sapeva, ma di certo non era pronto a fronteggiare la situazione, militarmente ma sopratutto mediaticamente. Il governo si vede costretto a trattare con un'orda di incappucciati, che in realtà avrebbe preferito continuare ad ammazzare allegramente. E' certo che l'opinione pubblica ha giocato un ruolo fondamentale nell'interruzione della guerra frontale agli Zapatisti, ma é anche vero che ciò ha dato inizio alla cosiddetta guerra di bassa intensità, ovvero la costituzione di gruppi paramilitari (quelli che replicati a Oaxaca ammazzeranno i dissidenti) che colpiscono non si sa quando, non si sa dove, minando la sicurezza personale nella vita quotidiana di chi esprime dissenso o anche solo appoggia chi si è ribellato. Vengono militarizzati interi villaggi, gli abitanti convinti che è necessario armarsi per difendersi o obbligati con la forza. Il governo centrale ha potuto supplire alla propria impreparazione militare e all'esposizione mediatica attraverso una guerra che non si vede ma che a lungo termine è più efficace, perché riesce a colpire dove la guerra frontale rende l'avversario più unito, lacerando i rapporti fra l'esercito popolare e la base che lo sostiene. Inoltre, porta il popolo a combattere contro se stesso, togliendo scomode incombenze e responsabilità al governo.
Ma perché il governo vuole tutto questo per la sua gente? Sembra assurdo, ma pare che gli indigeni in particolare e la gente povera in generale, intesi come forza lavoro e potenziale d'acquisto, e compresa la terra su cui vivono, non riescano a smettere di essere considerati come un bene di proprietà, utile per fare scambi con altri governi e sopratutto con chi ha grossi capitali da investire. La terra è diventata magicamente alienabile per permettere ale multinazionali di comprarla, nell'ambito di nuovi piani di sviluppo del mercato globale, per facilitare il trasporto delle merci e lo sfruttamento di sottosuoli ricchi, biodiversità e forze lavoro a basso costo. Il problema di Oaxaca non sono i maestri, non è nemmeno URO. E' piuttosto la sua posizione geografica, ottima per fare transitare verso il pacifico i prodoti statunitensi che così, piuttosto che arrivare fino a Panama, hanno meno strada da fare per riversarsi sul nuovo centro del mercato mondiale, l'Asia. Ma come è possibile costruire le autostrade o scavare per trovare l'uranio se la terra su cui dobbiamo passare è spezzettata fra mille piccoli proprietari che non la possono vendere? E se questi proprietari si uniscono e decidono di non vendere, anche quando cambiando le leggi finalmente potrebbero farlo? Allora è necessario spezzare questa unione, o si finisce come a San Salvador Atenco, dove il nuovo aeroporto di Città del Messico non è mai sorto perché un movimento popolare e l'opinione pubblica ad esso connessa non lo hanno permesso. Immaginate lo schiaffo morale al Plan Puebla Panama, accordo economico firmato dall'ex presidente della repubblica Fox: era necessario rifarsi, prima o poi. Nel maggio 2006 i media dela capitale trasformano una semplice protesta popolare in piaga biblica, giustificando ad Atenco una repressione di violenza inaudita da parte della già citata PFP, con incarcerazioni di massa e incursioni fin nelle case della gente. A fianco dei soliti pestaggi, fra i metodi di tortura, spiccano stupri e vessazioni sessuali sistematiche nei confronti delle donne imprigionate.
Possiamo concludere che Oaxaca è stata culmine e laboratorio dela cosiddetta strategia di "contrainsurgencia", o controrivoluzionaria, anche grazie al'immancabile aiuto degli Stati Uniti, che probabilmente hanno provveduto a formare i ragazzi più promettenti. Hanno visto la luce tecniche sempre più esate di tortura fisica e psicologica, da esercitare su masse che vanno ridirezionate per almeno due motivi: evitare fastidi alla classe dirigenziale ed essere certi che grandi investitori nordamericani, asiatici ed europei non stornino la loro attenzione dal Messico. Questa volta il governo centrale non si è fatto cogliere impreparato.

"Se fosse Oaxaca ad esportare la democrazia" (Video)


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ultimo aggiornamento: 8-Dic-2010